NON SOLO CARCERE, COME INTIMIDIRE I GIORNALISTI…
di PAOLO BROGI
Il modo più semplice per intimidire un giornalista è querelarlo.
Querela per diffamazione. Anche quando non c’è materialmente alcun appiglio per promuoverla. I potentati non devono neanche scomodarsi troppo: basta far entrare in azione l’ufficio legale aziendale, tanto a pagare sono i cittadini come nel caso di enti della pubblica amministrazione.
In Italia l’85% delle querele per diffamazione a mezzo stampa viene ogni anno archiviato. Ad archiviare sono, dopo un lungo percorso, i Gip. Quel lungo percorso, che consiste nel tempo richiesto per l’istruttoria del Pubblico Ministero, resta comunque a carico del giornalista che se non è coperto da un editore deve pagare di tasca propria il legale con cui si è difeso. Il giornalista (o l’editore, quando il giornalista è assunto) pagano anche se la querela nei loro confronti viene archiviata perché infondata. In Italia manca l’istituto della querela temeraria, che in paesi più civili del nostro garantisce che chi ha promosso un’azione di querela che si rivela e viene liquidata come infondata deve poi pagare.
In compenso però in Italia, dove la querela temeraria non viene colpita, ci sono propositi di multare i giornalisti con sanzioni stratosferiche come i 50.000 euro previsti nella riforma della legge sulla diffamazione: un’enormità che solo una visione ipocrita e farisaica della situazione dei media in Italia può concepire, se è vero che la maggioranza dei giornalisti attivi non è garantita da adeguati contratti editoriali ed è spesso costretta a lavorare per pochi euro ad articolo formando così un esercito di potenziali vittime di fronte a ultragarantiti intimidatori.
Occorre riequilibrare questa situazione, se si vuole una stampa libera e non asservita, in grado di svolgere la sua funzione di puntello della democrazia e di difesa dei diritti di tutti.
Il Parlamento allontani ogni vocazione a stordire la libera stampa con misure restrittive ed economicamente paradossali, cercando al tempo stesso di liberare la magistratura e i giornalisti dal ricatto dell’azione temeraria portata avanti con querele prive di fondamento. Questo è il succo di una vera riforma dell’istituto della querela per diffamazione a mezzo stampa.
Dal sito della Fnsi http://www.fnsi.it/
Fnsi, giovedì 24 novembre Giornata di mobilitazione contro il carcere per i giornalisti e le querele temerarie
Giovedì 24 novembre 2016 la Federazione nazionale della stampa italiana sarà in piazza, a Roma, insieme ai giornalisti minacciati per una giornata straordinaria di mobilitazione. Scopo dell’iniziativa: sensibilizzare la categoria e la classe politica e chiedere che vengano finalmente portati all’approvazione sia il provvedimento che abroga il carcere per i cronisti, sia una norma che ponga un argine alle cosiddette “querele temerarie”, vero e proprio strumento di minaccia contro i giornalisti e il diritto di cronaca. In particolare per quei cronisti che con il loro lavoro quotidiano contribuiscono a contrastare le mafie, il malaffare e la corruzione.
L’appuntamento è in piazza delle Cinque Lune, nelle vicinanze di Palazzo Madama, dalle 10 alle 11.30.
Insieme al segretario generale e al presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, saranno presenti il responsabile per i progetti di educazione alla legalità del sindacato dei giornalisti, Michele Albanese, di recente insignito dal presidente della Repubblica dell’onorificenza al Merito per l’impegno in favore di un’informazione libera in un territorio caratterizzato da pesanti infiltrazioni criminali; gli altri tre giornalisti insigniti dell’onorificenza al Merito della Repubblica Italiana: Federica Angeli, Paolo Borrometi e Amalia De Simone; i cronisti e le croniste costretti a vivere sotto scorta per via del proprio lavoro.
La Federazione nazionale della stampa italiana auspica che anche questa manifestazione faccia registrare l’adesione di tutte le associazioni che insieme con la Fnsi si battono per un’informazione libera, plurale e non condizionata da qualsiasi forma di bavaglio.
Prime adesioni:
Articolo21, Ordine dei giornalisti del Lazio, Pressing NoBavaglio, Usigrai, Associazione Amici di Roberto Morrione, Italians for Darfur, Mensile Confronti, Associazione Carta di Roma.
Chi ha paura del giornalistmo d’inchiesta?
di Amalia De Simone
Cari parlamentari,
a chi fa paura l’informazione libera? A chi fa paura il giornalismo d’inchiesta? Non è una domanda presuntuosa, né insinuante. Sarei ipocrita però, se dicessi che non è quella che mi viene in mente quando vedo il pantano in cui finiscono tutte le iniziative tese ad affrontare la questione delle liti temerarie nei confronti dei giornalisti. Sabbie mobili di discussioni, alibi, altre priorità a cui fare strada in Parlamento.
È una questione di scelte e voi avete il dovere di scegliere, consapevoli che questa scelta ci dirà da che parte state. Le querele temerarie e le richieste di risarcimento danni sono diventate l’arma più forte utilizzata contro chi fa giornalismo d’inchiesta, perché anche quando l’esito di un processo dimostra l’assoluta infondatezza dell’azione giudiziaria intentata contro il giornalista, ormai il reporter ha già subito dei danni gravi.
Ha dovuto spendere soldi per difendersi, buttare giornate di lavoro per andare farsi interrogare, partecipare alle udienze, ha combattuto contro le ombre della delegittimazione, ha convissuto per anni (perché i tempi dei processi sono infiniti per tutti) con l’ansia di poter perdere e di dover ipotecare una vita intera per aver fatto il proprio lavoro. Proprio così, perché diciamocelo fuori dai denti e senza ipocrisie, la legge e la giustizia non sono la stessa cosa e qualche volta, per fortuna solo qualche volta, il sostantivo giustizia può diventare una parola vuota.
Oggi chi fa giornalismo d’inchiesta e che quindi cerca di approfondire e scoprire fatti inediti, si scontra con questo tipo di minacce che sono ancor più subdole di quelle fatte a viso aperto dal mafioso di turno, sono quelle che vengono fatte utilizzando le opportunità che la legge ti offre. La maggior parte di chi fa questo tipo di giornalismo lavora da freelance o è precario e non sempre ha le tutele che sarebbero doverose da parte dell’editore che lo pubblica (anche queste andrebbero definite per legge).
Chi già fatica a versare l’inpgi, non ha l’assistenza sanitaria garantita dalla testata, non sa cosa siano le ferie e a volte fatica a farsi pagare o a farsi pagare adeguatamente, difronte ad una querela temeraria resta ancora di più “solo”. E non tutti hanno la forza o la possibilità di poter affrontare quel giorno in cui la stessa coscienza che ti spinge verso l’impegno civile, ti dice anche: ma chi te lo fa fare a queste condizioni? Quel giorno ci sarà qualcuno in meno a raccontare i fatti. Quel giorno saremo tutti meno liberi perché ne sapremo di meno.
Non parlerò dei casi che mi riguardano ma se un giorno Fiorenza Sarzanini, Sigfrido Ranucci, Giorgio Mottola, Antonio Crispino, Nello Trocchia, Lirio Abbate, Milena Gabanelli, Paolo Mondani, Roberta Polese, Marilù Mastrogiovanni, Salvo Palazzolo, Danilo Lupo, Giuseppe Caporale e tanti altri di fronte all’ennesima querela temeraria o all’ennesima richiesta di risarcimento danni facessero un passo indietro, noi rinunceremmo a conoscere storie che riguardano traffico di armi, corruzioni, mala amministrazione, intrecci tra mafia e potere.
Il giornalista non è un eroe, è uno che ha scelto di stare dentro i fatti, di provare a spiegarli, di essere al servizio della conoscenza e del percorso di libertà di una comunità di cittadini. Le intimidazioni attraverso le liti temerarie hanno fatto precipitare l’Italia al settantasettesimo posto (su 180 paesi) della classifica stilata da Reporters sans frontieres, per la libertà di stampa. La sproporzione tra gruppi di potere che ti chiedono in sede giudiziaria conto di un articolo e ciò che può fare il giornalista di per difendersi è enorme.
L’arma delle querele temerarie non la usano solo i criminali o i mafiosi: è diventato sempre più difficile fare il watchdog, il cane da guardia del potere, parlare di questioni che riguardano uomini delle istituzioni o quelli che hanno un ruolo nei sistemi economici, perché proprio quelli sono i primi a utilizzare l’arma della legge.
Sia ben chiaro, qui non diciamo che non si commettano errori nel fare il lavoro di reporter. Solo chi non fa non sbaglia mai. Qui non diciamo che non sia giusto far valere i propri diritti davanti a un tribunale quando si ritiene di essere diffamati. Ma se il giornalista racconta dei fatti e lo fa in buona fede, utilizzando tutti i mezzi che ha a disposizione per poter verificare l’oggetto della sua inchiesta, quel giornalista va tutelato.
Ve lo dice una degli ultimi che questo è il tempo delle scelte. Scegliere di fare presto delle leggi giuste che compensino questa diseguaglianza, che evitino il carcere per i giornalisti, che evitino l’esborso di somme di denaro impensabili per chi vive di uno stipendio che solo nella migliore delle ipotesi è ordinario e che imponga, come previsto anche in altri ordinamenti, il versamento di una cauzione per chi propone l’azione giudiziaria, oltre che a una sanzione dello stesso peso in caso di assoluzione del giornalista.
Per questo anche io voglio metterci la faccia e giovedì 24 novembre sarò davanti al Senato insieme a alla Federazione Nazionale della Stampa e ad altri colleghi per pretendere che si esca dal pantano, dall’immobilismo, dallo stallo e che in parlamento si decida sulle liti temerarie. Perché in Italia i giornalisti d’inchiesta, quelli “rompiscatole”, gli “spalaletame”, i muckraker, per aggrapparci ad una storia che, nonostante l’insulto, ha reso giustizia a questo mestiere, non diventino animali in via d’estinzione.
@fnsisocial
DA LEGGERE I DUE ARTICOLI di Ossigeno e di Articolo 21
Diffamazione. Che fine ha fatto il disegno di legge per abolire il carcere?
DIFFAMAZIONE: Giulietti (Art.21) e Della Volpe (Libera Informazione):
“Le multe di 50mila euro possono condizionare la libertà
di stampa”
“Ma aver sostituito il carcere con multe sino a 50mila euro per tutti, compreso i blog ed i siti internet ,può configurare una forma di condizionamento della libertà di stampa, soprattutto per i piccoli giornali,televisioni, radio e siti internet di informazione: Mentre quello che continua a mancare é l’istituzione del Giurì per la lealtà della informazione ed una adeguata normativa per contenere le cosiddette ” Querele temerarie”: non basta aver introdotto il concetto di “lite temeraria”; andava introdotta una forma seria e quantificata di deterrenza contro le querele temerarie. In questo senso andava l’emendamento presentato dal senatore Casson relativo alla definizione della sanzione a carico del querelante temerario che non è passato nel voto del Senato. Si aggiunga a questo che i tetti delle multe saranno insopportabili per le realtà editoriali minori e che le modalità di rettifica sono lesive del diritto di cronaca perché impediscono, di fatto, la replica del giornalista a chiunque voglia pretendere di rettificare le notizie, anche quelle vere e documentate. Inoltre le rettifiche così come configurate da questa legge saranno quasi inapplicabili per i siti on line. Ci auguriamo che la Camera dei deputati voglia ulteriormente cambiare il testo, altrimenti sarebbe preferibile mantenere la vecchia legge del 1948 e limitarsi alla abrogazione del carcere per i giornalisti”.