LA PAROLA E’ SACRA / Editoria, il rilancio e le riforme negate dal Governo di Vincenzo Vita

LA PAROLA E’ SACRA / Editoria, il rilancio e le riforme negate dal Governo di Vincenzo Vita

LA PAROLA E’ SACRA

 Editoria, il rilancio e le riforme negate dal Governo

di Vincenzo Vita

La Federazione Nazionale della Stampa ha pubblicato la scorsa domenica inserzioni ad intera pagina su diversi quotidiani per denunciare la situazione intollerabile in cui si trova l’informazione italiana. A fronte di un’apparente calma nella rappresentazione che danno di sé le principali testate, assai simili ed omologate, sotto la superficie dei segni visibili c’è l’inferno.

Non una delle richieste del sindacato è stata accolta dall’attuale esecutivo, al di là delle parole positive e dell’impegno del sottosegretario con delega Giuseppe Moles. La FNSI ha chiesto, infatti, risposte chiare sul precariato (ormai la forma di lavoro sottopagato dilagante), sull’applicazione della legge n.233 del 2012 in materia di equo compenso, sullo stop da mettere alle querele temerarie, sul futuro dell’istituto di previdenza dei giornalisti. Inoltre, approssimandosi la discussione sulla legge di bilancio, è doveroso dare finalmente stabilità al fondo per il pluralismo e l’innovazione, evitando lo strazio periodico delle tagliole. Com’è stato ampiamente analizzato, in moltissimi paesi esiste un intervento pubblico di sostegno delle componenti più deboli del sistema.

Su tutto ciò non si vede la luce e ben venga, quindi, la protesta. Quest’ultima, ovviamente, diviene forte se si intreccia con la costruzione di un vero progetto di riforma. Purtroppo, dello sbandierato tavolo per una nuova normativa di settore (4.0, o 5.0 che sia) non c’è traccia e lo stesso piano di ripresa e resilienza (PNRR) si limita a poche righe dedicate specificamente ai giornali.

La disoccupazione aumenta e il ricorso da parte degli editori ai pre-pensionamenti o agli scivoli (supportati dal citato INPGI) sta diventando una pratica assurda e distruttiva. Infatti, il ricambio generazionale è scarsissimo e, quando c’è, viene segnato da una netta discriminazione. Mentre ad eguale lavoro dovrebbe corrispondere uguale trattamento. Al contrario, fioriscono contrattini gialli e corporativi.

Se non si corregge, poi, la logica dei tagli del fondo per il pluralismo, nel 2024 il rubinetto inizierà a prosciugarsi. Non solo. Incombe un ulteriore rischio, vale a dire la proposta alquanto curiosa dell’amministratore delegato della Rai Fuortes di trattenere gli interi proventi del canone. Tradotto: 100 milioni di euro tolti al fondo. Meglio farebbe l’efficiente dirigente del servizio pubblico ad occuparsi della brutta pagina contenuta nel decreto legislativo che attua la direttiva europea 2018/1808 sui servizi media audiovisivi. Nel testo, salvo ripensamenti nei pareri delle competenti commissioni di camera e senato, alberga un pasticcio ai danni della Rai: si rimodulano gli affollamenti pubblicitari, con un danno per l’azienda di un centinaio di milioni. Più o meno la stessa quota eventualmente acquisita con il canone.

C’è materia davvero per una vertenza nazionale, possibilmente supportata da adeguate forme di lotta.

Le paginate scritte dalla federazione della stampa chiamano in causa il governo e il parlamento, ma riguardano anche l’organizzazione degli editori, ormai rinchiusa in sé stessa. Belli i tempi in cui la FIEG era protagonista della riforma, quella del 1981 (n.416), tuttora riferimento in un mondo che ha oggi il vestito digitale.

Da lì sarebbe opportuno ripartire con determinazione e creatività, in un confronto aperto e partecipato.

Insomma, si comprenda dalle parti di palazzo Chigi che l’informazione non è solo la ripetitiva strisciata alienante dei talk, bensì un girone dantesco di schiavitù e sofferenze. Tanto per ricordarlo, se necessario, non si contano ormai le giornaliste e i giornalisti che rischiano o perdono la vita, vengono aggrediti dai neo-fascisti e dai criminali, o subiscono minacce da gruppi di potere.

Il presidente Mattarella è tornato su tali argomenti con parole preoccupate e non è lecito  guardarsi dall’altra parte.

PS: nella rubrica della settimana passata si attribuiva al presidente dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni Lasorella una parola sbagliata. Aveva affermato nell’audizione del 5 ottobre presso la commissione di vigilanza sulla Rai che l’Agcom interviene prevalentemente sulla scorta di ricorsi contro le violazioni della normativa sulla par condicio. Si era scritto, impropriamente, solo.


Finale di par condicio

 di Vincenzo Vita

Concludiamo la carrellata degli orrori sulle resistibili violazioni della legge n.28 del 2000 nel corso della campagna elettorale per le amministrative.

La pubblicazione sul sito dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni delle presenze politiche e istituzionali dal 26 settembre al primo di ottobre, vale a dire fino alla vigilia del (violato) silenzio elettorale, suona a conferma di tendenze consolidate. Vale a dire la debordante esposizione della Lega, vuoi per le vicende non commendevoli che hanno toccato il partito di Matteo Salvini, vuoi per la curiosa pratica lottizzatoria che risale al vecchio governo gialloverde (Conte uno). La Rai, in attesa di una vera riforma che la svincoli da tali logiche, segue scolasticamente la mappa consegnata dal sistema politico, con inerzie lunghe capaci di resistere ai cambiamenti della e nella stessa sfera pubblica. L’azienda di stato è tuttora un esempio di apparato autoreferenziale, insensibile alle scosse esterne, quando queste ultime non sono declinate secondo i riti consueti.

Dunque, ancorché la Lega sia ormai in fase discendente e piena di ammaccature, le voci di dentro legate al carroccio sopravvivano e dettano l’agenda. Persino a scapito del Mov5stelle, cui pure andrebbe riconosciuto il primato parlamentare di questa legislatura e del partito democratico con i suoi consensi non enormi ma stabili. Reggono i Fratelli d’Italia guidati da Giorgia Meloni, la cui fortuna mediatica fu un’operazione a tavolino finalizzata a frenare l’ascesa leghista: macchinazione piuttosto miope, risoltasi nella benedizione ufficiale di un raggruppamento – come si sta vedendo- frequentato da aree esplicitamente fasciste.

Continua imperterrita l’emarginazione delle sinistre-sinistre e dell’universo radicale alle prese con proposte referendarie.

A nulla, poi, sono servite le denunce della violazione di ogni parità di genere: nel tempo di parola il rapporto tra donne e uomini è dell’11% contro l’89%. Percentuale appena ritoccata (18% vs 82%) nelle trasmissioni extra-Tg.

 Insomma, l’aria serena dell’agonia della par condicio ha dominato la scena.

Simile quadro continua nella fase dei ballottaggi, dove si procede a vista, secondo la sensibilità di conduttrici e conduttori.

Ancora una volta reggono più del previsto le apposite tribune politiche della Rai, che -collocate su scala regionale- ottengono uno share medio del 4% circa.

Purtroppo, imperversano nei telegiornali gli assurdi pastoni politici, vere e proprie carrellate imbarazzanti di volti con un frequente sguardo in macchina, ripetitori spesso di frasi artefatte. Fa tristezza, per chi ama la politica, scrivere così. Basta, però, usare il telecomando nelle ore canoniche per averne conferma. Non sarà quest’ultima la prima causa, ma neppure l’ultima, della disaffezione crescente che porta più della metà della popolazione a rifiutare il voto.

A tutto ciò si aggiunge una singolare (e imprevedibile) assenza dell’Agcom, che pure dispone di rilevazioni costanti. La prova evidente di è venuta paradossalmente dall’audizione dello scorso martedì 5 ottobre del presidente Lasorella presso la commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai.

Una personalità di indubbia competenza istituzionale a capo della massima magistratura del settore ha affermato, rispondendo a taluni interventi, che la campagna elettorale  è apparsa equilibrata dal punto di vista mediatico, tant’è che non vi sono stati ricorsi. E l’Autorità potrebbe  intervenire solo su istanza delle parti, secondo una strana lettura del primo comma dell’articolo 10 della norma del febbraio 2000. Dove si chiarisce che le violazioni sono perseguite d’ufficio. Del resto, a che servirebbero altrimenti i monitoraggi svolti, sia pure non proprio tempestivi?

Qual è la lezione da trarre da affermazioni eccentriche rispetto alle indubbie qualità di Giacomo Lasorella? Un errore giuridico? Non può essere. Si tratta, piuttosto, di battute infelici frutto dello scarso interesse sul punto foriero di peccati di omissione.

Insomma, la par condicio sembrerebbe derubricata persino da chi avrebbe il compito di farla rispettare.

Un’altra delusione.