đź—Ł Corpo a corpo tra un grande virus e un grande fratello – La Parola è sacra di VINCENZO VITA

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Corpo a corpo tra un grande virus e un grande fratello

 di Vincenzo Vita

Ma a che punto siamo, ministra per l’innovazione tecnologica Pisano, con le App per tracciare chi è portatore con o senza sintomi del contagio? E si vuole un’altra – pur particolare- applicazione del telefono mobile (di generazione adeguata) o si intende ricorrere al bluetooth  come a Singapore? In quest’ultimo caso non è neppure necessario il tracciamento degli spostamenti delle persone. E poi, l’acquisizione tanto dei segnali delle “cellule” dei gestori di telecomunicazione, quanto dei dati acquisiti a nostra insaputa dagli Over The Top. Per capire, ad esempio, quante volte ho digitato su Google “febbre, tosse, congiuntivite…” In quest’ultimo caso il valore aggiunto sta nell’accesso alle sequenze pregresse – lo “storico”- per risalire alle prime tappe del contagio e conoscerne le diramazioni geografiche. Anche se questo riguarda il passato.

Il “Forum disuguaglianze diversità” diretto da Fabrizio Barca ha lavorato ad un progetto di rilevazione campionaria dinamica per affrontare il virus, una vera e propria indagine statistica, come hanno spiegato i curatori della ricerca. Un po’ come l’Auditel per la diagnosi dell’ascolto televisivo, ha spiegato Piero De Chiara.

Sulle pagine de il manifesto sono stati pubblicati diversi contributi (Sandro Del Fattore e Cinzia Maiolini della Cgil, Vanni Rinaldi della Lega delle cooperative, Michele Mezza). La discussione è assai stimolante.

La ministra ha costituito un vasto gruppo di lavoro. E’ in corso, però, una vera e propria lotta corpo a corpo. Il virus ha una velocitĂ  di propagazione impetuosa e così ha da essere la risposta. Attraverso ciò che offrono le tecnologie digitali, con la velocitĂ  e il loro essere oblique e istantanee. Ne ha parlato recentemente sulla rivista “Media duemila” Derrick de Kerckhove (uno dei padri  della materia): al virus si risponde con la viralitĂ  della rete.

Insomma, gli attuali decisori escano dagli stili e dai ritmi analogici cui la politica (salvo rare eccezioni) è abituata. Mentre commissioni e sottocommissioni pensano, il morbo si espande. E se non si traccia il mappamondo del contagio non se ne viene a capo. Malgrado le eccellenze del personale scientifico, medico e sanitario.

E’ vero che il regolamento europeo sulla privacy  679/2016 – in vigore anche in Italia- fa eccezione proprio nel caso di un’eventuale epidemia, ma pesi e contrappesi nella dialettica tra due grandi diritti (salute e riservatezza) sono doverosi. Ne ha tratteggiato i termini il Garante Antonello Soro e sulla questione l’autoritĂ  da lui presieduta giĂ  dispone di ampi poteri. Ma non sarebbe opportuno un immediato e semplice atto normativo, teso a circoscrivere tempi e modi di un’eccezione necessaria, affinchĂ© non diventi la regola?

E non è l’occasione per sancire che i dati, come le frequenze, come le “cellule” telefoniche sono beni comuni, magari in uso ma non di proprietà dei privati?

Che la pandemia ci aiuti ad aprire gli occhi: la sintassi dell’età analogica, fondata su una visione vecchia e logora del rapporto tra pubblico e privato, è ormai lontana dalla nuova lingua digitale.

Il governo e il parlamento inseriscano con urgenza in uno dei veicoli legislativi un punto sull’argomento, evitando di impastoiarsi in procedure lente e burocratiche.

E’ pure l’occasione per diffondere le culture digitali in maniera solidale e democratica. Il divide è sociale e cognitivo, prima ancora che tecnologico.

Una rete delle reti può rintracciare e circondare il virus. E ad emergenza conclusa le libertà individuali devono tornare ad essere piene.

 

L’inganno a banda larga, di Vincenzo Vita

Ora che l’odioso virus ci ha dato “quattro schiaffi di materialismo”, per riprendere un’efficace invettiva di Franco Fortini, la realtà ci appare più nitida. Uno dei ceffoni riguarda sicuramente il tema della rete in banda larga e ultralarga. L’Italia ha intere zone non coperte da una tecnologia ormai molto matura e si colloca con qualche ignominia al penultimo posto in Europa. Le aree non raggiunte dalle fibre ottiche vengono chiamate nella terminologia burocratico-ufficiale “a fallimento di mercato”. Già. Perché nell’antica accezione liberista la comunicazione coincide meccanicamente con il suo risvolto commerciale.

Lo storico digital divide, che ora si sposa con la logica oligarchica e proprietaria degli Over The Top (cui viene persino delegata la raccolta dei dati sensibili per frenare la pandemia) ha mostrato chiaramente quali effetti comporta. Un fondamentale diritto di cittadinanza è dimezzato.

I programmi di educazione a distanza (e-learning) vacillano sia per i buchi nella copertura sia per la carenza dei supporti adeguati tra le stesse generazioni interessate. Per non dire delle difficoltà degli insegnanti a cimentarsi, spesso all’improvviso. con modalità tecniche non adeguatamente padroneggiate. E non per colpa soggettiva, bensì per l’assenza di un piano generale.

Il mitizzato smart working (il lavoro a distanza) sbatte la testa contro il solito buco (voragine?) e con la forte arretratezza delle direzioni aziendali.

Ma il capitolo della capacitĂ  di banda arriva al cuore del contrasto al virus. La telemedicina ha oggi potenzialitĂ  enormi, che rischiano di essere utilizzate a scarto ridotto.

Insomma, il dramma ha fatto venire allo scoperto danni ed aporie  del digitale all’italiana. Vale a dire il passaggio alla tecnica numerica immaginato negli anni novanta del secolo scorso come un mero affare televisivo. E’ fin troppo noto che la corsa alle straordinarie opportunitĂ  offerte dalla scienza fu indirizzata verso i bisogni della televisione generalista, in cui faceva il bello e il cattivo tempo l’impero berlusconiano. Per far quadrare i conti della timidissima normativa antitrust introdotta dalla legge 249 del 1997 e salvare “Retequattro” era indispensabile aumentare il numero dei canali.

Mancò, dunque, una linea strategica, a partire da altri baricentri: la pubblica amministrazione, la scuola e l’università. Solo attraverso un’iniziativa pervasiva e battente nell’universo statuale (centrale e decentrato), come vera agenzia di formazione e sviluppo, si sarebbe messa fuoco la medesima questione della “rete pubblica”. Se ne parla da anni, ma senza una chiara prospettiva.

L’errore risale alla stessa stagione “pan-televisiva”. “Stet-Telecom” fu privatizzata malamente, mentre l’infrastruttura poteva (e doveva) rimanere un bene comune. Quella “stecca” originaria ce la portiamo avanti ancora oggi, malgrado il tentativo in extremis fatto dal secondo governo Prodi. Che non andò in porto. E ora siamo alla mercé di una infinita trattativa tra una Tim pur corroborata dal fondo “Kkr” (insieme a Vivendi, a Elliot e a Cassa depositi e prestiti) e una “Open Fiber” (con capitali di Enel e della stessa Cassa depositi e prestiti) che ancora non pare aver deciso che fare.

Insomma, è serio che il traguardo decisivo della copertura con una banda unitaria capillare e installata fin dentro le abitazioni dei cittadini sia una mera trattativa privata?

E’ vero che il recente decreto del governo “Cura Italia” riduce i tempi regolamentari, ma urge proprio quello che si chiama “cambio di paradigma”. Ed ecco una priorità.

 

Che il virus non contagi la democrazia, di Vincenzo Vita

In questi giorni di emergenza da Covid-19 si stanno restringendo diversi diritti, a cominciare da quello della libertà di movimento. Del resto, l’emergenza sanitaria è talmente grave (e inedita) da rendere inevitabile la compressione di talune libertà. Tuttavia, ogni limitazione deve essere limitata, transitoria e –va aggiunto- saldamente controllata, nel suo perimetro e nella sua invadenza, dalla sfera pubblica.

La questione diviene particolarmente delicata e per ciò che concerne la circolazione e il trattamento dei dati personali. Il Garante Antonello Soro si è mosso scrupolosamente fin dallo scorso  febbraio, indicando i criteri generali alla Protezione civile. Si tratta di combinare due diritti costituzionali altrettanto cruciali: la salute e la riservatezza. Come può accadere in casi omologhi, in simili situazione è inevitabile scegliere il diritto prevalente. E la vita di un essere umano prevale sempre. Tuttavia, il tema della raccolta delle tracce che ognuno di noi lascia in giro magari senza esserne cosciente (vedi il caso limite della Corea del Sud in merito alla tracciabilitĂ  degli spostamenti) è particolarmente serio. PerchĂ© l’identitĂ  digitale è parte integrante della cittadinanza e della coscienza.

E’ indispensabile, quindi, uscire da una stretta polarità dialettica, che metta in contrasto elementi ugualmente fondamentali per il tessuto civile. Serve una via di congiunzione garantita dalle istituzioni e dalla sfera statuale. Guai ad appaltare i servizi di condivisione dei dati, pur per finalità nobili, ai soliti Over The Top: da Google, ad Amazon, a Facebook in poi. Ne ha scritto su il manifesto dello scorso giovedì 12 marzo Michele Mezza e ci ha ragionato sul sito del “Centro per la riforma dello Stato” il direttore di quest’ultimo Giulio De Petra. Ci sentiremmo più tutelati ora e si correggerebbe la disastrosa linea privatistica che ha condizionato le politiche digitali (imposte dalla televisione) negli ultimi venticinque anni, contribuendo al disastro italiano. Diversi commentatori in questo periodo sembrano riscoprire i difetti teorici e pratici degli approcci liberisti, piangendo sull’assenza in numerose zone della banda larga e di una seria rete infrastrutturale aperta e “bene comune”. Ne risentono i pur buoni propositi sull’educazione a distanza e sullo smart working, a prescindere dalle sacrosante problematiche pedagogiche e sindacali.

E’ il caso di rimettere il naso nelle modeste esperienze delle “Agende digitali” e di coordinare meglio (anzi, coordinare) i differenti centri decisionali, che già hanno fatto spendere cifre meglio utilizzabili per comprare i software proprietari di Microsoft, invece di utilizzare i gratuiti programmi free.

Insomma, il dramma è anche l’occasione per cambiare radicalmente rotta, rendendoci indipendenti dagli oligarchi della rete, usi a commerciare i dati con obiettivi meramente commerciali o direttamente politici. La repentina discesa dei consensi nelle primarie democratiche degli Stati Uniti di Elizabeth Warren, che ha più volte proposto lo “spezzatino” di Facebook, troppo grande e prepotente per rimanere in mani così ristrette, fa pensare. Così pervasivi i social? Certamente sì.

L’economista controcorrente Mariana Mazzucato scrive chiaramente (“Il valore di tutto”, Bari-Roma, Laterza, 2018, p.239) che “…il punto critico è di assicurare che la proprietà e la gestione dei dati rimangano collettivi come la loro origine: il pubblico…”.

Un’ipotesi. Antonello Soro dispone a normativa vigente di rilevanti funzioni. E se gli fossero conferiti poteri straordinari?