L’ultimo segreto sul delitto Matteotti ” Il sicario mi mostrò una partehttp://http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/06/03/lultimo-segreto-sul-delitto-matteotti–il-sicario-mi-mostro-corpoRoma09.html del corpo”
di Marino Bisso
L’ultimo segreto sul delitto di Giacomo Matteotti è legato al ricordo di un’immagine dell’orrore, di sevizie, di una mutilazione inferta forse dopo torture. Un fazzoletto contenente un brandello del corpo del leader socialista, sporco di sangue raggrumato mostrato come un trofeo di guerra quando ancora nessuno sapeva della sua morte, nelle ore successive al rapimento avvenuto il 10 maggio del 1924. E’ l’ultimo sfregio degli assassini fascisti a Matteotti: non solo contro l’oppositore politico ma anche contro l’uomo che doveva essere annientato colpendo anche le parti più intime. La terribile immagine è stata tramandata con una sorta di staffetta della memoria tra due grandi fotografi: Sandro Vespasiani, amico fraterno di Matteotti, e Tano D’Amico fotoreporter della contestazione giovanile negli anni Sessanta e Settanta. «È un segreto che mi porto dentro e mi è stato trasmesso dal maestro di tanti noi giovani fotografi che negli anni Settanta iniziavamo questo lavoro» a parlare è Tano D’Amico, autore di tanti scatti storici che hanno documentato l’Italia delle lotte sociali. In questo caso a raccontare uno dei grandi misteri italiani non sono le sue foto ma il ricordo dell’incontro avuto mezzo secolo fa con Vespasiani.
«Erano i primissimi anni ’70 in cui i fotografi si volevano bene e ci davamo tutti una mano. Avevamo creato una specie di sindacato. Ci vedevamo in un sottoscala in centro vicino a piazza Chiesa Nuova. Spesso veniva Vespasiani: era il più anziano e il più stimato.
Lui era l’unico fotografo “esiliato a vita” dal Vaticano: Vespasiani faceva parlare le mani nelle sue foto e così una volta ne pubblicò una che mostrava un laido cercarsi di mani tra cardinali attorno a papa Pio XII. Uno scatto che non fu gradito dal Vaticano».
Vespasiani era molto legato a Matteotti. «Sandro lo aveva fotografato per l’ultima volta il giorno del suo storico discorso alla Camera in cui denunciò le violenze fasciste che avevano condizionato il voto nell’aprile del ‘24. Un atto d’accusa che fu anche la sua condanna a morte. Quel giorno quando esce dal Parlamento, Matteotti ha il volto tirato teso ma alla vista dell’amico fotografo, che allora aveva la qualifica di “giovane di studio”, sorride. È contento di trovarlo davanti con il tre piedi e la macchina fotografica. Attorno ci sono giovani compagni di partito che sembrano quasi volerlo proteggere e lui con un gesto grazioso della mano fa un cenno come per allontanarli mentre nella tasca della giacca spuntano le cartelle dell’ultimo discorso».
Vespasiani era il punto di riferimento delle nuove generazioni di fotoreporter romani. «Lo andavamo a prendere nell’ospizio dove viveva e lo facevamo sedere nella poltrona più comoda — ricorda con affetto D’Amico — Lui mi voleva bene. A quell’epoca lavoravo per giornali di estrema sinistra come Potere Operaio e Lotta Continua e spesso venivo trattato dalle forze dell’ordine peggio di altri colleghi. I miei colleghi però erano preoccupati e decisero che Vespasiani mi parlasse per mettermi in guardia sapendo che lo avrei ascoltato». E fu allora che Vespasiani parlò di Matteotti.
«Vespasiani aveva una voce molto bassa — ricorda D’Amico — Mi inginocchiai per sentire meglio e lui mi disse: “Ho un segreto…”. E mentre parlava percepivo la sofferenza di chi aveva tentato di dirlo a tutti ma di non essere stato ascoltato. Di essere stato lasciato solo. Così come era stato lasciato solo il suo amico Matteotti dopo essere stato minacciato di morte, senza alcuna protezione quando quella mattina del 10 giugno uscì dalla sua casa in via Giuseppe Pisanelli 40.
Sandro mi disse che dopo il rapimento di Matteotti decise di passare la notte nell’agenzia “Porri Pastorella” in Piazza di Pietra in attesa che arrivasse una notizia o un dispaccio. Era in ansia per Matteotti. Poi, nel cuore della notte sentì rumori: qualcuno era entrato nello studio e stava mettendo a soqquadro l’ufficio come se cercassero qualcosa o qualcuno. Sandro si nascose nella camera oscura. Ma all’improvviso una persona accese la luce e vedendolo disse: “Sei qui… sei pronto?”. Vespasiani pensò che lo volessero uccidere. Invece quell’uomo ( Amerigo Dumini il capo della sanguinaria squadraccia, la Ceka del Viminale, dei cinque aguzzini incaricati di uccidere l’esponente socialista) gli mostrò un fazzoletto insanguinato con dentro quel brandello di carne, dicendo che era del corpo di Matteotti. Poi gli intimò: “Ora fotografalo!”. Vespasiani a quella vista orrenda scappò, urlando terrorizzato. In via del Corso venne poi fermato da alcuni gendarmi e in preda all’agitazione raccontò tutto. Disse che Matteotti era stato ucciso e il suo corpo mutilato. Il giorno dopo tutta Roma seppe della morte del leader socialista ma nessuno volle ascoltare e reagire. Nessuno.
Nemmeno le opposizioni che non fecero nulla fino al ritrovamento del suo corpo avvenuto 68 giorni dopo al rapimento».
Ma perché fu ucciso Matteotti?
Tano D’Amico se lo è sempre domandato provando una profonda angoscia. «Ci sono state diverse spiegazioni. Ma restano troppe cose che non tornano.
Penso che Matteotti fu ucciso per quel discorso alla Camera. E anche lì fu lasciato solo. Fu assassinato perché voleva far saltare l’alleanza che si era formata tra Mussolini e la borghesia degli ordini professionali. La morte di Matteotti, inoltre, rinforzò il potere dello squadrismo che tornava a svolgere una funzione determinante per evitare a Mussolini di non essere spazzato via dalle opposizioni che poi decisero di non reagire alla violenza fascista e all’omicidio politico di Matteotti preferendo l’Aventino».
Il mistero attorno al movente e ai mandanti del rapimento e del delitto di Matteotti, da novantaquattro anni continua a dividere gli storici. Italo Arcuri, giornalista e scrittore, nel libro “Il corpo di Matteotti” ne fa una lucida analisi e si sofferma sul giallo del lungo viaggio fatto fare a Matteotti dopo il sequestro terminato a 23 chilometri e 400 metri dal Lungotevere Arnaldo da Brescia, luogo del sequestro. Una «via crucis» a bordo della Lancia Lambda nera proveniente da un garage vicino a Trevi che forniva vetture ai ministeri di Mussolini. Il cadavere del leader socialista viene trovato o fatto trovare il 16 agosto del 1924, 68 giorni dopo il sequestro, a Riano, sulla Flaminia in una piccola buca in una boscaglia in località Quartarella. Il corpo è devastato, dal tempo e dagli animali, ridotto praticamente a uno scheletro. Le mani e i tessuti muscolari non ci sono più. Impossibile stabilire se sia stato torturato o mutilato. Non ci sono vestiti e neppure la cartella con i documenti che Matteotti aveva raccolto sullo scandalo delle concessioni facilitate in Sicilia e in Emilia a favore della compagnia petrolifera americana Sinclair Oil.
Carte scottanti sulle presunte tangenti destinate alla casa reale e fatte arrivare anche nelle casse del Popolo d’Italia diretto dal fratello del duce Arnaldo Mussolini. Tante le ipotesi. Di certo quel dossier giornalistico sulle mazzette del fascismo, che Matteotti aveva in parte pubblicato su riviste estere e che doveva essere presentato in Parlamento il giorno dopo il suo rapimento, non è mai più stato trovato.
Delitto Matteotti tra ricordi e dibattiti storici i nuovi segreti sulle tangenti del fascismo
A novantaquattro anni dalla morte dell’esponente socialista vive la memoria ma anche la ricerca di verità sul mistero del sequestro e dell’omicidio. Il 10 giugno la cerimonia istituzionale, al mattino, in Lungotevere Arnaldo da Brescia e, alla sera, a Castelnuovo di Porto l’approfondimento con Marco Omizzolo, Tano D’Amico e Luca Villoresi
di MARINO BISSO
La memoria e la ricerca storica sul caso Matteotti vivono in duplice appuntamento, domenica 10 giugno, con una cerimonia, al mattino, nel luogo del suo rapimento davanti al ministero della Marina. E con un dibattito alla sera sulla Flaminia, a pochi chilometri da Riano dove venne ritrovato il suo cadavere.
Si comincia alle 10,30 in Lungotevere Arnaldo da Brescia nel cuore di Roma dove sorge il monumento che ricorda il violento sequestro del leader socialista. Quel pomeriggio del 1924, Matteotti aveva salutato la moglie ed era uscito dalla sua casa in via Giuseppe Pisanelli 40 per imboccare una strada senza ritorno. Ad aspettarlo una Lancia Lambda nera con a bordo: Amerigo Dumini, il capo della sanguinaria squadraccia della polizia fascista, la Ceka del Viminale, composta da Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. I cinque aguzzini davanti a testimoni aggrediscono Matteotti e lo caricano sull’automobile. Durante la colluttazione, Matteotti fa cadere o perde la tessera di deputato che in seguito verrà ritrovata.
Pestato a sangue, Matteotti si difende per poi essere accoltellato sotto l’ascella e al torace. Non si sa quanto sia durata l’agonia di Matteotti e se sia stato sottoposto a altre torture. Nell’auto verranno però trovate molte tracce di sangue. Il corpo sarà portato e ritrovato in una buca stretta sulla via Flaminia a Riano, dentro una boscaglia in località Quartarella a 23 chilometri e 400 metri dal centro della capitale. Verrà rinvenuto solo il 16 agosto. Dopo 68 giorni, dopo depistaggi e dopo una serie di ritrovamenti pilotati come quello della giacca del parlamentare in un canale sulla Flaminia. Intanto il fascismo imprime al Paese la svolta dittatoriale decisiva: il 26 giugno i parlamentari dell’opposizione abbandonano il Parlamento protesta. Mussolini ha la strada libera: tra i primi provvedimenti c’è quello dell’8 luglio per controllare giornali, stampa e imporre la censura.
La cerimonia di domenica mattina è organizzata dalla Fondazione Giacomo Matteotti insieme alle Fondazioni Turati e Nenni e dal circolo Saragat-Matteotti. L’incontro al momumento di Lungotevere Arnaldo da Brescia prevede la partecipazione di Virginia Raggi, Sindaca di Roma, Paola Taverna, Vice Presidente Senato, Angelo G. Sabatini, Presidente Fondazione Giacomo Matteotti, Marcello Leonardi, Presidente Circolo Culturale Saragat-Matteotti, Francesca Del Bello, Presidente del Municipio II, Valentina Grippo, Consigliere Regione Lazio, Roberto Morassut, Partito Democratico, Carlo Fiordaliso, Vice Presidente Fondazione Pietro Nenni, Carlo Cotticelli, Docente di Storia contemporanea. Partecipano: Italo Arcuri, Giornalista e saggista, Andrea Casu, Segretario Partito Democratico Roma, Paolo Cento, Direzione Nazionale Sinistra Italiana, Enzo Foschi, Vice Segretario Partito Democratico Lazio, Antonio Senneca, Azioni e politiche contro ogni fascismo, Anna Vincenzoni, Assessore del Municipio I Roma. Coordinamento: Valentina Caracciolo, Consigliere nel Municipio II Roma, Enzo Pirillo, Circolo Culturale Saragat-Matteotti. La commemorazione è organizzata con il patrocinio della Camera dei deputati.
Alla sera, alle 18, nell’ambito della Festa del Libro e dei Fiori presso il Centro culturale Artipelago in via Flaminia 27 Castelnuovo di Porto, a pochi chilometri dal luogo dove venne ritrovato il cadavere dell’esponente socialista, si svolgera un incontro-dibattito: Da Giacomo Matteotti a Marco Omizzolo: la lotta per diritti e legalità. Intervengono: Marco Omizzolo, Tano D’Amico, Italo Arcuri, Giovanni Fois. Partecipa Luca Villoresi inviato speciale e firma storica de La Repubblica. Tra i partecipanti il sociologo e giornalista Omizzolo, più volte minacciato a seguito delle sue denunce contro lo struttamento degli immigrati nei campi dell’Agro Pontino. E anche il fotoreporter Tano D’Amico che ha recentemente rivelato particolari rimasti segreti legati al sequestro Matteotti e alla testimonianza del fotografo Sandro Vespasiani. L’iniziativa è organizzata dall’associazione Artipelago insieme ad ANPI Sez. Matteotti Rete Flaminia-Tiberina, Libera, Spi Cgil lega Valle del Tevere, Lega Ambiente Castelnuovo di Porto, Nel paese di Clarice e la Rete NoBavaglio – Liberi di essere informati.
Al centro dell’incontro la figura di Matteotti come protagonista delle lotte dei braccianti fino alle inchieste sulle violenze fasciste e sulle presunte tangenti che avrebbero coinvolto gerarchi e la casa reale. Dossier scottanti in parte pubblicati su riviste inglesi. Matteotti, infatti, sarebbe stato in possesso di documenti in grado di provare come i vertici del regime, tra cui il fratello del duce Arnaldo Mussolini, fossero coinvolti in un giro di corruzione legato allo sfruttamento del petrolio italiano in Emilia e in Sicilia dato in esclusiva alla compagnia americana Standard-Oil, controllata della Sinclair-Oil. Il dossier sulle tangenti, Matteotti lo portava con se dentro una borsa che aveva anche al momento del sequestro. Ma non fu mai più trovata.
In passato, a documentare la pista economico-finanziaria legata alle tangenti è stato in particolare lo storico Mauro Canali che ha evidenziato come fra i vari personaggi connessi all’affare del petrolio ci fosse il giornalista e faccendiere Filippo Filippelli. E’ lui il fondatore del Corriere Italiano ed è sempre lui a noleggiare la Lancia Lambda nera impiegata dai sicari di Matteotti per il sequestro. Inoltre Filippelli è amico del fratello del duce. E in base alla ricostruzione storica di Canali, fu Filippelli a incassare pochi giorni prima della firma dell’accordo una prima maxi-tangente di un milione di lire dalla Standard Oil. Scrive Canali: “I familiari di Matteotti hanno sempre sospettato che mandante dell’omicidio fosse re Vittorio Emanuele, secondo loro proprietario di quote della Sinclair. Invece, io sono giunto alla conclusione che fu proprio Mussolini, che aveva intascato tangenti direttamente da questa operazione, a ordinare l’eliminazione del suo avversario politico. Anche le camicie nere – ha sostenuto lo storico – furono finanziate dalla Standard Oil”.