Dagli omicidi dei giornalisti scomodi alle querele facili
Non era un giornalista (lo sarà dopo la sua morte) ma è stato ucciso per l’informazione scomoda e le denunce che lanciava dai microfoni di Radio Aut…
Giuseppe Impastato, meglio noto come Peppino, è stato un giornalista, attivista e poeta italiano, membro di Democrazia Proletaria e noto per le sue denunce contro le attività di Cosa Nostra, a seguito delle quali fu assassinato il 9 maggio 1978.
la Biografia scritta da Enrico Bellavia
http://notiziario.ossigeno.info/wp-content/uploads/2013/01/LibroMemoriaPeppinoImpastato.pdf
MA CHI SONO? QUALI SONO I RISCHI E COSA SIGNIFICA ESSERE GIORNALISTA? Lo spiega un grande maestro del giornalismo vittima non della mafia ma dalla censura di una parte della politica che vorrebbe i giornalisti al proprio servizio e che quindi possono essere “espulso” dal servizio pubblico. E’ il caso di Enzio Biagi sotto attacco per le sue interviste scomode e poi esiliato dalla Rai. Nel 1995 iniziò la trasmissione Il Fatto, un programma di approfondimento dopo il TG1 sui principali fatti del giorno, di cui Biagi era autore e conduttore e ben preso fini nel mirino dei politici di allora. ( da WEikipedia): “La critica più dura arrivò però dal deputato di Alleanza Nazionale e futuro ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri che auspicò in un’emittente lombarda l’allontanamento dalla Rai dello stesso Biagi.[7]
Biagi fu quindi denunciato all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per “violazione della par condicio” ma fu poi assolto con formula piena.
Il 18 aprile del 2002 l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, mentre si trovava in visita ufficiale a Sofia, rilasciò una dichiarazione riportata dall’Agenzia Ansa e passata poi alla cronaca con la definizione giornalistica di Editto bulgaro. Berlusconi, commentando la nomina dei nuovi vertici Rai, resi pubblici il giorno prima, si augurò che “la nuova dirigenza non permettesse più un uso criminoso della televisione pubblica” come, a suo giudizio, era stato fatto dal giornalista Michele Santoro, dal comico Daniele Luttazzi e dallo stesso Biagi. Biagi replicò quella sera stessa nella puntata del Fatto, appellandosi alla libertà di stampa“.
Ma ecco cosa pensava e diceva Enzo Biagi parlado di giornalismo
ENZO BIAGI: GIORNALISMO E GIORNALISTI
Il documento di Enzo Biagi datato 1984 introduce la vicenda di un altro giornalista finito sotto attacco e ucciso per le sue parole: Giuseppe Fava intervistato un mese prima.
da Wikipedia leggi: http://www.wikimafia.it/wiki/index.php?title=Pippo_Fava
“L’ultima intervista a Biagi. Il 28 dicembre 1983, ospite della trasmissione di Enzo Biagi “Filmstory”, Giuseppe Fava rilasciò la sua ultima intervista pubblica, in cui lanciò un duro attacco alla classe dirigente italiana. In particolare, fece scalpore questo passo dell’intervista:”Io vorrei che gli italiani sapessero che non è vero che i siciliani sono mafiosi. I siciliani lottano da secoli contro la mafia. I mafiosi stanno in parlamento, i mafiosi sono ministri, i mafiosi sono banchieri, sono quelli che in questo momento sono al vertice della nazione. Nella mafia moderna non ci sono padrini, ci sono grandi vecchi i quali si servono della mafia per accrescere le loro ricchezze, dato questo che spesso viene trascurato. L’uomo politico non cerca attraverso la mafia solo il potere, ma anche la ricchezza personale, perché è dalla ricchezza personale che deriva il potere, che ti permette di avere sempre quei 150mila voti di preferenza. La struttura della nostra politica è questa: chi non ha soldi, 150mila voti di preferenza non riuscirà ad averli mai! I mafiosi non sono quelli che ammazzano, quelli sono gli esecutori. Ad esempio si dice che i fratelli Greco siano i padroni di Palermo, i governatori. Non è vero, sono solo degli esecutori, stanno al posto loro e fanno quello che devono fare. Io ho visto molti funerali di Stato: dico una cosa che credo io e che quindi può anche non essere vera, ma molto spesso gli assassini erano sul palco delle autorità“.
Omicidio
La sera del 5 gennaio 1984, Giuseppe Fava lasciò la redazione dei Siciliani per recarsi al Teatro Verga a prendere la nipote che recitava nello spettacolo “Pensaci Giacomino!”. Alle 21:30 circa, in quella che adesso è stata rinominata Via Giuseppe Fava (allora Via dello Stadio), venne freddato con cinque colpi di pistola calibro 7,65 alla nuca, mentre ancora si trovava a bordo della sua auto, una Renault 5.
Giovedì 24 novembre (ore 10 piazza Cinque Lune) la Rete #NOBAVAGLIO #PRESSing in piazza con Fnsi, Articolo 21,Usigrai…
NON SOLO CARCERE, COME INTIMIDIRE I GIORNALISTI…
di PAOLO BROGI
Il modo più semplice per intimidire un giornalista è querelarlo.
Querela per diffamazione. Anche quando non c’è materialmente alcun appiglio per promuoverla. I potentati non devono neanche scomodarsi troppo: basta far entrare in azione l’ufficio legale aziendale, tanto a pagare sono i cittadini come nel caso di enti della pubblica amministrazione.
In Italia l’85% delle querele per diffamazione a mezzo stampa viene ogni anno archiviato. Ad archiviare sono, dopo un lungo percorso, i Gip. Quel lungo percorso, che consiste nel tempo richiesto per l’istruttoria del Pubblico Ministero, resta comunque a carico del giornalista che se non è coperto da un editore deve pagare di tasca propria il legale con cui si è difeso. Il giornalista (o l’editore, quando il giornalista è assunto) pagano anche se la querela nei loro confronti viene archiviata perché infondata. In Italia manca l’istituto della querela temeraria, che in paesi più civili del nostro garantisce che chi ha promosso un’azione di querela che si rivela e viene liquidata come infondata deve poi pagare.
In compenso però in Italia, dove la querela temeraria non viene colpita, ci sono propositi di multare i giornalisti con sanzioni stratosferiche come i 50.000 euro previsti nella riforma della legge sulla diffamazione: un’enormità che solo una visione ipocrita e farisaica della situazione dei media in Italia può concepire, se è vero che la maggioranza dei giornalisti attivi non è garantita da adeguati contratti editoriali ed è spesso costretta a lavorare per pochi euro ad articolo formando così un esercito di potenziali vittime di fronte a ultragarantiti intimidatori.
Occorre riequilibrare questa situazione, se si vuole una stampa libera e non asservita, in grado di svolgere la sua funzione di puntello della democrazia e di difesa dei diritti di tutti.
Il Parlamento allontani ogni vocazione a stordire la libera stampa con misure restrittive ed economicamente paradossali, cercando al tempo stesso di liberare la magistratura e i giornalisti dal ricatto dell’azione temeraria portata avanti con querele prive di fondamento. Questo è il succo di una vera riforma dell’istituto della querela per diffamazione a mezzo stampa.